E’ possibile confinare il gioco pubblico in Purgatorio e garantire i servizi?

E’ possibile confinare il gioco pubblico in Purgatorio e garantire i servizi?

Porre un limite al gioco lecito senza limitare l’erogazione dei servizi è il dilemma che devono risolvere i Monopoli.

 

Mentre le istituzioni si arrovellano il cervello nella ricerca di un sistema che ponga un limite alla dipendenza da gioco, si scatena la caccia alle motivazioni che inducono i cittadini a spendere nel gioco più di quanto si possono permettere.

Abbiamo già riferito quanto il Prof Crepet e altri illustri luminari della psicologia, hanno affermato nella conferenza dedicata all’argomento ludopatia durante l’ultima Enada a Rimini, e cioè che la ludopatia non può essere considerata una patologia anche perché non esistono ricerche e dati affidabili che spiegano le cause dell’eccessiva pratica del gioco per soldi.

Il Vicedirettore delle Dogane e Monopoli svela l’arcano

Dunque mentre gli studiosi della psiche umana non sanno perché qualcuno si affeziona troppo al gioco per soldi, appare più pratica l’opinione del Vicedirettore Aronica che ha ufficialmente affermato: “Se si eccettuano le VLT, cui non è difficile associare la possibilità di perdite economiche anche ingenti in un breve lasso di tempo, il rischio di una spesa eccessiva attraverso i canali del gioco legale sembra riconducibile più direttamente ad una attitudine soggettiva del giocatore piuttosto che alle insidie intrinseche dei diversi giochi”.

Se così fosse allora avremmo la risposta che tutti aspettavano, ma la dichiarazione del Vicedirettore non ha persuaso nessuno perché metterebbe in luce la debole salute mentale di un bel numero di cittadini. In ogni caso però il gioco deve continuare, ma come e in quali condizioni?

Per il gaming è pronto il Purgatorio

Se la dipendenza dal gioco lecito (gaming) non è una patologia, ma l’espressione di una delle tante discutibili attitudini dei nostri cittadini, non rappresenta un fenomeno disgregante e d’altronde il gioco deve continuare ma non potrà avere un posto in Paradiso, né dovrebbe subire una punizione eccessiva e consumarsi in cenere nella graticola infuocata dell’Inferno perché ne subirebbero le conseguenze la casse dello Stato. La soluzione potrebbe venire dalla dislocazione del gaming in aree periferiche e soprattutto in ambienti specificamente dedicati ai quali non accede chiunque casualmente ma soltanto i veri amanti del gaming che ovviamente, una volta ambientati, non potranno lamentarsi delle perdite subite perché chiunque direbbe loro: Perchè ci sei andato?

La terza è più comoda via per svolger l’attività del gaming è dunque quella di confinarlo in una specie di Purgatorio dove potrebbe proliferare nell’indifferenza della cittadinanza in attesa di redenzione dei cittadini che lo amano eccessivamente. Ma anche la terza ipotesi solleva diversi problemi.

La politica alle prese con la questione dell’uovo e della gallina

Che dall’uovo sia nata la gallina è ovvio ma chi abbia concepito l’uovo resta una domanda senza risposta come tante domande che anche i più illustri politici non sanno dare.

Infatti anche nel caso del gaming italiano nessuno conosce la ricetta giusta per garantire soldi all’erario ed evitare che la popolazione sperperi troppi soldi.

La proposta di eliminare gli apparecchi da gioco nei locali pubblici, tabaccherie e altri esercizi commerciali, avanzata dal Sottosegretario Pier Paolo Barretta, potrebbe significare un vantaggio perché le Slot verrebbero meno esposte nei confronti di persone psichicamente deboli, ma anche in questo caso ci sono alcune controindicazioni. Intanto sorge la domanda: “Perché un cittadino che vuole godersi un’ora di divertimento giocando in una slot dovrebbe rifugiarsi o quasi nascondersi in un ambiente dedicato al gioco?Come verrebbero controllati tali ambienti? Le aree adibite al gioco legale diventeranno zone off-limit per cittadini comuni?”.

Ma c’è di più perché il Trattato della Comunità Europea con gli art. 3,43,49 e 56 vieta qualsiasi restrizione alla libertà dei cittadini di ogni Stato membro e specificatamente all’Art. 49 sono vietate le restrizioni alla libera prestazione dei servizi a tutti i cittadini nell’ambito della Comunità Europea anche in merito alla creazione di imprese. Non servirà ricorrere al solito giochetto dell’interpretazione del diritto europeo perché le legislazioni nazionali devono utilizzare gli stessi parametri normativi.

Qualora la Corte di Giustizia Europea dovesse essere chiamata a decidere, la questione del mutamento delle condizioni di libertà d’impresa, della libertà individuale e della libera erogazione dei servizi, costituirebbe una ostacolo insormontabile per il legislatore italiano.

Il Governo e i suoi luogotenenti sono avvisati e farebbero bene a tenere nella giusta considerazione quanto è scritto nei Trattati Europei quando varano le Leggi di Stabilità.

 

Massimo Ranalli.

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